L’8 marzo non si festeggia, si combatte
Oggi mi è stato chiesto da un cliente (che lavora con me da pochissimo): “Hai preparato un post per la festa della donna?”
Questa domanda mi ha fatto riflettere profondamente. L’8 marzo non è una “festa” da celebrare con sconti o post sui social. Non è una giornata da ridurre a una campagna pubblicitaria. Non possiamo trattarla come se fosse una qualsiasi ricorrenza del calendario. È un giorno di lotta, di memoria, di denuncia, di resistenza. Non è un’opportunità per fare marketing: è un momento per riflettere sulla condizione delle donne, per riconoscere la continua oppressione, e per impegnarsi, ogni giorno, in un cambiamento che non può essere ridotto a una singola azione simbolica.
Faccio un parallelismo per far comprendere meglio il punto: sarebbe impensabile fare una promozione per gli ebrei il Giorno della Memoria. Non si può ridurre un evento che segna la memoria di milioni di morti, l’orrore dell’Olocausto, a una semplice occasione di consumo. Eppure, l’8 marzo sta finendo in questa trappola: quella di essere ridotto a una “festa” da celebrare con una bella grafica sui social o un’offerta speciale. Ma la lotta per i diritti delle donne non è una merce. E come professioniste e professionisti del marketing, dobbiamo smettere di strumentalizzare questa ricorrenza per trarne un profitto.
Marketing o fallimento? Le aziende che hanno mal interpretato l’8 marzo
Ma c’è un limite a tutto: quando l’intento di un’azienda è solo quello di cavalcare l’onda, senza un vero e proprio impegno sociale alle spalle, il rischio di scivolare nel ridicolo o, peggio, nell’ipocrisia, è altissimo. La giornata del 8 marzo non è una festa come le altre, non è una data da usare per strizzare l’occhio ai consumatori con azioni di marketing superficiali. Le aziende che non fanno nulla di concreto da dire rischiano di rivelarsi inadeguate e controproducenti, compromettendo la propria reputazione.
Ecco alcuni esempi di aziende che hanno rovinato la propria immagine con un post dell’9 marzo:
- McDonald’s, che ha capovolto il proprio logo per celebrare la “Giornata della Donna”, trasformando la “M” in una “W” (iniziale di “woman”). L’azienda ha scelto di fare questa modifica fisicamente sulla stele di un ristorante a Lynwood, in California, per poi immortalare il momento e condividerlo sui social, sperando di sfruttare l’onda virale. Ma la reazione non è stata quella che si aspettavano. Invece di raccogliere consensi, l’iniziativa ha scatenato il malcontento, in particolare da parte di ex dipendenti, che hanno messo in luce la distanza tra il messaggio simbolico e la realtà. Le condizioni di lavoro per le donne nei ristoranti McDonald’s sono ben lontane dall’essere quelle che l’azienda cercava di promuovere, e questo divario ha fatto sì che la “mossa” di McDonald’s fosse vista come una mera operazione di marketing vuota e priva di coerenza.

- Fiat ha proposto uno sconto speciale sull’acquisto di un’auto per l’8 marzo, con sensori di parcheggio inclusi. Questo gesto, apparentemente innocuo, ha scatenato una valanga di critiche, soprattutto per l’odioso stereotipo che sottintende: le donne, evidentemente, hanno bisogno di “aiutini” tecnologici per parcheggiare. Una mossa che non solo ha offeso le donne, ma ha ridicolizzato la loro competenza alla guida, alimentando la narrazione del “genere debole”. Dopo aver ricevuto una pioggia di commenti indignati, l’azienda ha rimosso la pubblicità e pubblicato un post di scuse, ma ormai il danno era fatto.

- Non si può dimenticare la triste trovata di Trenitalia, che ha pensato bene di omaggiare le donne con una caramella sui treni Frecciarossa. Immaginate una grande azienda, un colosso che ha ricevuto ingenti finanziamenti pubblici e che genera miliardi di euro in profitti, ma che continua a offrire servizi costosi e spesso inefficaci. Eppure, per celebrare l’8 marzo, questa azienda ha deciso di “omaggiare” le donne con una caramella. Potrebbe sembrare un gesto innocente, se non fosse che l’iniziativa è stata pubblicizzata come se fosse un evento esclusivo, riservato solo ai passeggeri Frecciarossa o ai clienti Executive, che dovevano addirittura andare al bar a ritirare il “prestigioso” omaggio. Questo non solo ridicolizza la giornata, ma rende evidente l’insensibilità di un brand che, pur avendo accesso a risorse enormi, fa un gesto ridicolo, e con una visibilità pubblicitaria imbarazzante. Questa mossa si è trasformata in un fallimento colossale, scatenando il sarcasmo e l’indignazione sui social.

Questi esempi sono solo alcuni dei fallimenti di marketing che hanno dimostrato quanto sia facile scivolare nell’errore quando non si comprende veramente cosa significhi l’8 marzo. Le azioni di marketing che non sono supportate da cambiamenti concreti, come investimenti nella formazione su diversità e inclusione o iniziative che vanno oltre la pura estetica, rischiano di sembrare semplicemente una forma di opportunismo. E il danno che ne deriva è tanto maggiore quanto più il pubblico si rende conto che l’intento non è altro che sfruttare una causa importante per un guadagno a breve termine. Le aziende che si limitano a cavalcare l’onda senza fare un impegno autentico sui temi che riguardano la parità di genere non solo perdono credibilità, ma rischiano anche di minare la propria brand reputation. Non basta un post celebrativo: occorrono azioni concrete.
Se un’azienda davvero vuole essere dalla parte delle donne, non può limitarsi a pubblicare un post sui social o a lanciare un’offerta con il 20% di sconto. Se l’intento è davvero quello di contribuire alla causa, allora l’azienda deve dimostrarlo attraverso azioni concrete, azioni che vanno oltre il marketing. E oggi, 8 marzo, c’è un’azione chiara e potente che possiamo intraprendere: scioperare.
L’8 marzo è il giorno in cui molte donne, in tutto il mondo, scelgono di fermarsi, di non lavorare, di non consumare. Un’azione politica che vuole richiamare l’attenzione su ciò che non viene visto: il lavoro invisibile delle donne, la loro doppia giornata, la disparità salariale, la violenza di genere che ancora dilaga. Le aziende che non fanno nulla per combattere questi fenomeni, che non intraprendono azioni concrete di inclusività e parità, non dovrebbero sentirsi autorizzate a “celebrare” questa giornata. Perché, se non vuoi metterti in discussione, se non vuoi fare azioni che vanno oltre il marketing, la tua “celebrazione” non è altro che un’opportunità per vendere.
Ecco cosa possono fare davvero le aziende
- Formazione continua su Diversità & Inclusione (D&I): non basta scrivere belle parole su un sito o un post. Le aziende devono investire seriamente nella formazione del personale, sensibilizzando sulla discriminazione di genere, sugli stereotipi e sulle disuguaglianze che ancora oggi permeano la società. Una formazione che non si limiti a una giornata, ma che sia strutturale e che promuova una cultura inclusiva.
- Scioperare: invece di fare business come se nulla fosse, le aziende possono schierarsi apertamente a favore della parità di genere e della giustizia sociale. Questo significa fermarsi, prendere posizione e scioperare in solidarietà con le lavoratrici e i lavoratori che ogni giorno combattono per un mondo più giusto. Non possiamo permettere che un’azienda continui a guadagnare mentre le disuguaglianze restano immutabili.
- Raccolte fondi e sostegno a iniziative concrete: le aziende possono e dovrebbero utilizzare le loro risorse per finanziare iniziative che combattono la violenza di genere, che promuovono l’accesso delle donne alla salute, alla formazione e alle opportunità di carriera. Organizzare raccolte fondi per ONG che si battono contro la discriminazione, offrire borse di studio per le giovani donne, finanziare programmi di mentoring… queste sono azioni che parlano più di mille parole.
Ma, al di là della necessità etica di fare ciò che è giusto, c’è un altro motivo per cui le aziende dovrebbero evitare di ridurre il 8 marzo a una campagna di marketing superficiale. Non farlo correttamente non fa bene nemmeno all’azienda stessa, anzi, potrebbe danneggiarla gravemente.
Quando un’azienda si limita a “celebrare” la Giornata della Donna con sconti, grafiche ad effetto e post che non riflettono un vero impegno, rischia di essere percepita come cinica e opportunista. In un’epoca in cui i consumatori e le consumatrici fanno sempre più attenzione alla coerenza tra le azioni di un brand e i suoi messaggi, comportamenti di questo tipo possono compromettere la brand reputation.
Le persone non sono stupide. Si rendono conto quando un’azienda sta sfruttando un tema importante solo per fare profitto. E questo tipo di comunicazione rischia di alienare non solo le donne, ma anche i consumatori più giovani e consapevoli, che sono sempre più alla ricerca di marchi che adottano un approccio in linea con i loro valori. In altre parole, se il tuo brand non dimostra coerenza tra le parole e le azioni, rischi di compromettere la fiducia che le persone ripongono in te.
Se vuoi davvero che il tuo brand si distingua in un mercato sempre più competitivo, la chiave è l’autenticità. Dimostra con azioni concrete che sei dalla parte delle donne, che stai facendo la tua parte per combattere le disuguaglianze e che l’8 marzo è per te una giornata di impegno, non di consumo. Solo così potrai costruire una reputazione solida e duratura. E, per chi crede che un’azione politica possa danneggiare l’immagine del brand, la realtà è che, al contrario, un’azienda che agisce con coerenza e responsabilità ottiene rispetto, fiducia e affetto dai propri clienti.
Quindi oggi sciopero, perché è l’unico modo per dimostrare che il marketing e la comunicazione devono essere al servizio delle persone, non degli interessi economici.
E tu, come azienda, cosa stai facendo veramente per i diritti delle donne?