Immagina un mondo in cui tu non compari mai. E ora pensa a cosa significa per noi.
Sono Selva. Pronomi maschili in italiano, neutri (they/them) in inglese.
Sono una persona grassa, sono una persona lesbica, sono una persona trans* non binaria. Sono pure mancino. E sono un Dottore in Scienze Forestali e Ambientali, sono un professionista della sicurezza sul lavoro, e sono uno sportivo e sono uno scrittore. Sono nato in una cittadina di provincia e ci ho vissuto tutta la mia infanzia e adolescenza. Sono un attivista, sono un formatore, sono una persona che ama lavorare ai ferri con scarsi risultati e che si rilassa montando mobili di una famosa azienda svedese.
Una personcina decisamente interessante.
Eppure, escludendo giusto gli ultimi 5 dei miei 30 anni passati su questa terra, non mi sono mai visto rappresentato in niente.
Quanti libri ho letto da piccolo, quanti film, quanti cartoni, quante serie TV, quanti videogiochi, quanti programmi per ragazzi ho visto. Sono figlio degli anni ‘90 e sono nerd, quindi tanti, ma solo di recente, un recente che molto prevedibilmente coincide col mio percorso di esplorazione di genere, mi sono visto.
Parliamo quindi dell’importanza della rappresentazione trans* nei media. Con tutti i problemi che abbiamo nel mondo, non ci sono “cose più importanti” di cui parlare, di cui occuparsi?
Fatti una bella tisana alla lavanda e seguimi.
Per le persone comuni (non inteso come offesa, ma come percentuale di aderenza all’ideale classico che la nostra società ci da nella definizione di essere umano) la rappresentazione di sé, dei propri corpi, delle proprie esperienze è data per scontata. Accendendo la TV, aprendo il catalogo di un sito di streaming, guardando la programmazione di “Quel cinema dove andiamo sempre, hai presente quello con le poltrone comode? Quello lì”, queste persone vedranno sempre un personaggio, quasi sempre ben più di uno, anche la/il (non uso l’articolo neutro per un motivo) protagonista, vivere una abbastanza grande varietà di esperienze, sfide, vittorie in cui immedesimarsi, sentirsi capite e anche sognare ad occhi aperti senza che però la cosa appaia COSÌ irraggiungibile.
Per quanto molto spesso ci si lamenti della cultura “woke”, del “politically correct”, del “non si può più dire niente”, se domani, svengliandoci e accendendo un qualunque schermo per magia tutte queste lamentele si avverassero e si vedessero SOLO persone razzializzate, persone grasse, persone queer fuori dai canoni binari uomo-donna, persone disabili, neurodivergenti, e improvvisamente fosse scomparsa totalmente la figura dell’uomo medio… io tirerei un enorme sospirone di sollievo, ma moltissime di voi si sentirebbero enormemente stranite, preoccupate e magari anche offese.
Nella migliore delle ipotesi è un incubo particolarmente vivido da cui stai faticando ad uscire, dove improvvisamente tu sei la minoranza, il non-previsto, l’esotico. E allora finché non riesci a svegliarti, vediamo che succede.
All’inizio fa anche figo, sentirsi finalmente un po’ particolari dopo una vita passata nell’anonimato dell’essere come tutte le altre, ma col passare delle ore inizieresti a notare cosa il non comparire sui cartelli pubblicitari, sul blog del tuo piccolo comune in provincia di Venezia, nella serie TV che adori, provoca al tuo senso di sé, alla legittimità della tua esistenza, e di conseguenza a quella necessità tutta umana, in quanto creatura sociale, di assicurarsi di “star facendo/essere la cosa e persona giusta per il branco”.
Ora, continuando questo esercizio di fantasia, immagina che questa cosa improvvisa succeda nella tua adolescente, o magari anche molto prima: tu, piccola perfetta creatura bianca, normopeso, abile, cis, preferibilmente maschio ma accettiamo anche le bambine dai, che aprendo il tuo album delle figurine Panini non ci trovi dentro nemmeno mezza pallavolista che vagamente ti assomiglia.
Accendi la TV, nel fantabosco sono tutti di etnie che non hai mai sentito nominare, cambi canale, c’è quel programma per nuovi talenti della danza che tanto ti piace… ma le concorrenti hanno tutte corpi assolutamente non conformi al tuo.
E mo’?
Corri da genitore uno, in lacrime, chiedendole cosa sta succedendo, sei nella fase in cui fai le domande a raffica, e genitore uno è sinceramente piena quindi ti ignora e ti risponde un laconico “prova a cercare nei tuoi libri”.
Vero! I libri, anzi non libri qualunque, magari fantasy, no, andiamo sui LIBRI DI TESTO: solida realtà, granitica, insegnata a scuola. Quello di storia fa al caso tuo. Lì c’è solo la verità, niente fiction, niente mondi inventati. Apri il libro.
Tutti trans*. (Io felice. Tu meno).
Scopri che, semplicemente, agli occhi della società attorno a te, non esisti: esisti fisicamente, si, ti tocchi, senti la tua pelle, guardi lo specchio, riconosci il tuo sguardo, le persone della tua cerchia, che magari sono strani come te (bianchi, cis perfino), continuano a parlarti e ad interagire con te… ma tutto il resto è un disastro. Sbagliano il tuo pronome continuamente, anzi, non lo sbagliano, lo ignorano. Dal medico ti fanno domande su genitali che non hai, dando per scontato che avendo tu un seno avrai chiaramente un pene, a scuola, durante l’ora di educazione sessuale, quello che pensi, che provi per il compagnetto di banco dietro di te, non viene minimamente nemmeno accennato, perché non è normale. Poi arriva l’ora di educazione fisica, in spogliatoio sono tutte uguali… ma non a te. Quindi, per sicurezza, ti cambi in bagno.
Vai a casa, sfinita, dopo la giornata peggiore della tua vita, per estraniarti apri un libro dalla copertina invitante che ti hanno regalato qualche settimana fa ma ancora non hai avuto modo di leggere, è un fantasy, sicuro li ci sarà qualche persona diversa (si, hai già iniziato a ragionare pensando a te come “diversa”)… e invece no. Nessuno dei personaggi, nemmeno quello più secondario, ha qualcosa a che fare con te. Hanno tutti corpi, identità, esperienze di vita talmente diverse dalla tua che forse ti sentiresti più rappresentata aprendo “l’enciclopedia dei funghi edibili” di tuo nonno (e qui si aprirebbe una lunga digressione del perché noi persone non-binarie adoriamo così tanto i funghi, ma magari te ne parlo un’altra volta).
Proseguiamo con l’esercizio, ultimo sforzo, la giornata non è ancora finita: hai cenato in silenzio e ti sei messa sul divano coi tuoi genitori a guardare un gioco a premi. Gioco che non stai capendo assolutamente, perché è chiaramente ideato per il grande pubblico, ovvero per persone neurodivergenti.
Improvvisamente, inaspettatamente, ormai non ci speravi più, appare una persona come te… solo che, anche in questo caso, non è come te. È una personale “normale” travestita come te, ed è lì per ridere col pubblico in sala e in salotto proprio del come si è travestita. Per ridere di te.
Genitore due riesce a ridacchiare mentre russa, spettacolare a modo suo, genitore uno no, è corrucciata, forse perfino dispiaciuta (?), ma decide di gestire quella situazione facendo semplicemente finta che non sia successa.
Sono le 21.15 e hai deciso che per oggi, per sempre, può bastare.
Il giorno dopo ti svegli, finalmente sei riuscita a liberarti da questo incubo lunghissimo e troppo realistico. Rivalutando i bei tempi in cui sognavi gli zombie che ti inseguivano, ancora assonnata raggiungi la cucina e ci trovi i tuoi genitori stanno che guardano distrattamente il TG del mattino: è tutto assolutamente uguale a ieri.
Non sei uscita proprio da nessun cavolo di incubo. Quella è la realtà.
E davanti hai il resto della tua vita.
Mentre finisci la tua tisana resta ancora qualche secondo in questo incubo. Pensa alle volte in cui, nel mondo vero, quello dove tu sei la norma, ti sei comunque sentita fuori posto e non vista e immagina che quella sensazione sia una costante, sempre presente, molto intensa e pervasiva di ogni aspetto della tua esistenza.
E adesso torniamo alla domanda iniziale: è così importante parlare di rappresentazione delle persone trans* nei media? È una urgenza come lo sono i diritti civili, l’accesso alla sanità, ecc.?
Direi che a questo punto la risposta è un bel sì convinto. O almeno lo spero. Ma se lavorate con Grazia dubito non sia un sì (sennò dovete vedervela con lei, io in caso non ho visto niente).
Oggi, 31 marzo, è la Giornata Internazionale della Visibilità Transgender (abbreviato in inglese come TDOV). Non mi dilungo sulla storia di questa giornata, ma sul suo significato: alcune di voi sono forse a conoscenza del TDOR, che cade invece a novembre per ricordare le vittime di transfobia. Una giornata fondamentale per la comunità trans* e in generale queer, che ci permette di commemorare tutte le nostre compagnɜ uccise dall’odio per le persone trans, commemorazioni che spesso, in conseguenza dei loro omicidi, non vengono celebrate nemmeno dalle loro stesse famiglie. Ma la comunità T*, come tutte le comunità marginalizzate del mondo, non è solo i suoi lutti, i soprusi subiti e i momenti dolorosi delle proprie esistenze, come invece i media amano mostrare da quando, a fatica e comunque non prima degli anni ‘50 del novecento, hanno accettato di inserire nelle proprie storie delle persone trans, anche se raramente o solo recentemente impersonate da persone trans o anche solo scritte da persone trans*.
Le persone T* sono tante, enormemente variegate, sono felici, sono in posizioni di potere, sono il vostro postino come la vostra avvocata, sono guerriere in mondi fantasy e baristi in trucidi romanzi erotici per adolescenti, dipingono, aggiustano automobili, scrivono articoli sui blog, fondano associazioni, hanno figli, adottano gatti, scrutano ai seggi elettorali, ti allenano in palestra, guidano ambulanze, prendono il sole al mare… vendono frutta e verdura al mercato del tuo piccolo comune in provincia di Venezia.
Ed è importante avere un giorno specifico per ricordarlo. Per farlo renderlo visibile a te, che sei una persona “comune”, così come sono “comuni” loro, così come potrebbe essere “comune” tuo figlio che all’anagrafe ha il nome della tua migliore amica.
P.S.
Non ho finito, ma non volevo rovinare il finale ad effetto. Ti lascio con un compito per casa: un documentario. Se lo hai già visto, riguardalo, sennò preparati: tieni a mente l’esercizio che abbiamo fatto e la tisana alla lavanda a portata di mano, cerca “DISCLOSURE” (link esterno) su Netflix e buona rabbia.
