Una campagna che mercifica il benessere psicologico, trasformando la cura per la salute mentale in un premio da vincere, alimentando il mito della perfezione femminile.
In questo mese si è parlato tanto di salute mentale. Anche io ho creato contenuti su questo tema, sia per il mio profilo che per le mie clienti. Eppure, quando mi sono imbattuta nella campagna Chilly/UnoBravo, qualcosa ha stonato. Mi sono chiesta il perché e ho deciso di approfondire.
Nell’ultima settimana, chi si occupa di psicoterapia e salute mentale ha ampiamente discusso di questa collaborazione tra Chilly, noto marchio di prodotti per l’igiene intima, e UnoBravo, piattaforma che facilita l’accesso a psicologhe e psicoterapeute per sedute online. La campagna “Piacere di conoscermi” mette in palio due sedute gratuite per chi acquista almeno 10 euro di prodotti Chilly. Un’iniziativa che, a prima vista, sembra un’occasione interessante per promuovere il benessere psicologico, ma ha sollevato molti dubbi.
Cliccando qui potete leggere il regolamento e l’intera campagna sul sito ufficiale.
Diversi Ordini regionali delle psicologhe e degli psicologi hanno criticato duramente la campagna, sottolineando il rischio di ridurre la salute mentale a un premio di marketing. Il cuore della critica sta proprio nell’idea che un percorso terapeutico – che dovrebbe essere un diritto, accessibile a tutte le persone – venga invece associato a un consumo di prodotti. Molte persone del settore hanno espresso preoccupazioni sulla banalizzazione del concetto di cura psicologica.
Cliccando qui potete leggere la lettera aperta a UnoBravo, da parte dell’Ordine degli psicologi di diverse regioni.
In un lungo documento il team di UnoBravo ha risposto alla critiche. Potete leggerlo cliccando qui.
In questo spazio non parlerò tanto del dibattito tecnico sul marketing sanitario o su eventuali codici deontologici, che potrete trovare sicuramente sulle pagine di psicologhe e persone esperte in materia, ma farò una riflessione più ampia: trattare la salute mentale come un gadget o un incentivo all’acquisto è una deriva pericolosa. L’autenticità del percorso terapeutico non può convivere con una dinamica commerciale che associa il benessere psicologico a un prodotto per l’igiene intima.
Questa non è una semplice questione di etica professionale: è la stessa percezione della salute mentale che rischia di essere alterata. La terapia non è un lusso, né un “premio” che si ottiene acquistando prodotti. La comunicazione su questi temi dovrebbe essere rispettosa e mirata a creare consapevolezza, non a sfruttare una problematica così delicata per vendere di più.
La diffusione dei social ha senz’altro permesso di parlare di salute mentale con più apertura, ma quando questi temi vengono trattati con leggerezza, rischiamo di cadere in dinamiche che banalizzano le patologie. Iniziative come questa, per quanto possano sembrare allettanti, sollevano questioni più profonde: stiamo davvero normalizzando la conversazione sulla salute mentale, o la stiamo commercializzando?
Ora arriviamo al punto centrale che voglio analizzare in questo articolo. Dal punto di vista del marketing, questo caso evidenzia come tecniche manipolatorie possano sfruttare le vulnerabilità di un target ben definito: le donne, un gruppo spesso esposto a pressioni sociali e culturali legate alla cura di sé e degli altri.
Il target della campagna: il focus sulle donne
Il primo elemento da considerare è il chiaro focus su un target femminile. Chilly è un marchio noto per i suoi prodotti di igiene intima, da sempre indirizzati principalmente alle donne, mentre Unobravo è una piattaforma che si propone come soluzione accessibile per chi cerca supporto psicologico. La connessione tra questi due marchi non è casuale: la salute mentale viene commercializzata attraverso un prodotto che tradizionalmente si associa al corpo e al benessere femminile, creando un legame tra igiene intima e cura psicologica. Questo rafforza un immaginario in cui le donne devono prendersi cura di sé in modo totale, dal fisico alla mente, come parte della loro responsabilità sociale.
Le donne sono un target particolarmente sensibile a campagne di questo tipo, per diverse ragioni. Storicamente, il ruolo della “cura” è stato loro attribuito come parte integrante della loro identità, sia nella sfera domestica che professionale. Ciò non si limita alla cura dei figli o degli anziani, ma si estende anche alla gestione delle emozioni e delle relazioni interpersonali. Da questo punto di vista, la salute mentale diventa un altro aspetto della “cura” di cui le donne si devono occupare, alimentando il mito della “donna che fa tutto”: si prende cura degli altri, mantiene un aspetto fisico adeguato e trova anche il tempo per curare la propria psiche.
La manipolazione dei bisogni emotivi e il concetto di “benefit”
Questa campagna utilizza una strategia di “manipolazione emotiva” piuttosto sofisticata. Invece di promuovere la terapia come un servizio accessibile e fondamentale, la trasforma in un benefit, un premio che solo alcune fortunate possono ottenere. Il problema qui non risiede nel marketing della salute mentale in sé – che è necessario per raggiungere chi ne ha bisogno – ma nel modo in cui questo viene veicolato. Il messaggio che emerge è che la terapia, un servizio essenziale per la salute psicologica, è un lusso da vincere, anziché un diritto universale.
Per molte donne, già abituate a gestire il peso del benessere altrui, questa campagna può far leva su un senso di colpa latente: il dover “meritare” anche il tempo e le risorse per prendersi cura della propria salute mentale. Inoltre, c’è il rischio che si percepisca la terapia come un premio che va conquistato, rinforzando l’idea che il benessere psicologico sia qualcosa a cui si può accedere solo in certe condizioni favorevoli, come la vincita di un concorso.
La questione dell’auto-perfezionamento: la pressione psicologica sulle donne
Un altro aspetto critico riguarda il modo in cui questa campagna si inserisce in una narrativa più ampia di auto-perfezionamento. Le donne, più degli uomini, sono bombardate da messaggi che le spingono a migliorare costantemente se stesse, a essere madri migliori, professioniste più competenti, partner perfette, e allo stesso tempo a non trascurare il proprio benessere personale. Questa campagna sfrutta proprio questa dinamica, trasformando la terapia in un altro tassello del percorso di auto-miglioramento.
L’idea che la salute mentale sia un “benefit” da vincere, e non un servizio accessibile a tutte le persone, contribuisce a rafforzare la pressione sociale su questo target. Le donne, più di altri gruppi, sono spesso spinte a credere che il loro valore risieda nella loro capacità di tenere tutto sotto controllo: il corpo, la mente, le relazioni. Offrire la terapia come premio significa, in questo contesto, rafforzare l’idea che ci sia qualcosa di “incompleto” o “difettoso” in chi non può accedervi autonomamente, una manipolazione sottile e dannosa dei loro bisogni emotivi.
Salute mentale e gioco d’azzardo: la terapia come bene di lusso
Il meccanismo del concorso Chilly-Unobravo si avvicina a quello del gioco d’azzardo. Le partecipanti non sanno se e quando potranno ottenere l’accesso alla terapia, devono sperare di “vincere”. Questa logica trasforma il supporto psicologico in qualcosa di aleatorio, di contingente, proprio come succede con le lotterie o i premi in denaro. La salute mentale diventa un premio da ottenere tramite la fortuna e non un servizio essenziale e continuativo, accessibile a chiunque ne abbia bisogno. Questo paragone con il gioco d’azzardo evidenzia ulteriormente la gravità dell’approccio: la terapia non è un bisogno prioritario, ma un’opzione che solo alcune, casualmente, potranno sperimentare.
Questa dinamica alimenta ulteriormente l’idea che solo chi ha fortuna o risorse economiche possa davvero prendersi cura della propria salute mentale. Per chi non ha questi strumenti, il messaggio che passa è che la cura psicologica è un lusso, una rarità che va “meritata” o “conquistata”. Questo si inserisce perfettamente nella logica di marketing che tratta la salute come un prodotto di consumo, piuttosto che un diritto universale.
Il problema dell’accessibilità: un fallimento delle istituzioni
Dietro questa campagna c’è anche un vuoto istituzionale. La crescente popolarità di piattaforme come Unobravo si deve in gran parte all’incapacità dello Stato di garantire un accesso equo e gratuito ai servizi psicologici. La terapia, che dovrebbe essere un diritto universale, diventa così una merce venduta al miglior offerente o, come in questo caso, distribuita in forma di premio. Questo fallimento delle politiche sanitarie pubbliche è evidente nella crescente privatizzazione dei servizi di salute mentale e la campagna Chilly-Unobravo non fa altro che sottolinearlo ulteriormente.
Il marketing di servizi psicologici dovrebbe, invece, avere un obiettivo completamente diverso: sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della terapia e promuovere una cultura dell’accessibilità. In un contesto dove la salute mentale è spesso vista come un lusso, campagne come questa rischiano di peggiorare la situazione, anziché migliorarla. Invece di rendere la terapia più accessibile, la trasformano in un premio, contribuendo a perpetuare la disuguaglianza nell’accesso alle cure.
Il ruolo del marketing etico e responsabile
Nel marketing legato ai servizi di salute mentale, l’etica deve essere al centro. La comunicazione non può limitarsi a vendere un servizio, ma deve anche educare, sensibilizzare e, soprattutto, garantire che le persone capiscano l’importanza di accedere alla terapia come parte di un percorso di cura continuo e necessario. Invece di offrire la terapia come un premio, sarebbe stato più utile costruire una campagna che si concentrasse sull’abbattimento delle barriere economiche e sociali che impediscono a molte persone, soprattutto donne, di accedere a questi servizi.
In conclusione, la campagna Chilly-Unobravo ha sollevato importanti interrogativi sul ruolo del marketing nel settore della salute mentale. Offrire la terapia come premio non solo distorce la percezione del valore della terapia stessa, ma manipola le vulnerabilità di un target già esposto a enormi pressioni sociali, come le donne. In un mondo dove il benessere psicologico dovrebbe essere un diritto e non un lusso, questa campagna rappresenta un esempio di come il marketing possa fallire nel suo obiettivo di creare un impatto positivo, optando invece per strategie manipolatorie che rischiano di fare più danni che benefici.
E voi, come vedete questa situazione? Vi incuriosisce comprendere meglio il confine tra marketing e salute mentale, soprattutto quando si parla di campagne che toccano un tema così delicato? Sto lavorando a un’analisi approfondita insieme a una collega esperta di marketing sanitario, per esaminare queste dinamiche con un approccio più critico e sfaccettato. Se volete scoprire di più su come la comunicazione di brand può influenzare la percezione dei servizi legati al benessere psicologico, seguitemi su LinkedIn. A breve condividerò i risultati di questa riflessione!